Ctr Liguria n. 458/4/16, depositata il 18/03/2016

Dalla lettura della sentenza si ricava che la Guardia di Finanza, nell’ambito di un servizio finalizzato al controllo della regolare certificazione dei corrispettivi, all’uscita da una pasticceria fermava un cliente, cui veniva richiesto di esibire lo scontrino fiscale per la consumazione effettuata nel pubblico esercizio.
Non essendo il cliente in grado di esibire il documento certificativo1, l’azione ispettiva proseguiva nell’interno dell’esercizio, ove i verbalizzanti redigevano apposito p.v.c. per la constatazione della mancata emissione di uno scontrino fiscale per l’importo di 2,10 euro (l’importo asseritamente corrisposto dal cliente “interrogato”).
Nella verbalizzazione effettuata all’interno del locale, i militari della Guardia di Finanza specificavano di aver controllato il cliente alle ore 18:20; nel controllo successivamente esteso al giornale di fondo del registratore di cassa appuravano, tra l’altro, l’emissione dello scontrino n. 261 di euro 2,15 alle ore 18:26 dello stesso giorno, scontrino che l’esercente riferiva proprio alla consumazione del cliente in precedenza controllato, nonostante la non esatta coincidenza in termini d’importo e di orario.
La sanzione irrogata
La versione del titolare dell’esercizio, tuttavia, non convinceva i finanzieri, i quali ritennero che lo scontrino n. 261 delle 18:26 non poteva essere ricondotto alla consumazione contestata per la discrasia rispetto all’orario indicato a verbale (18:20), nonché per la non coincidenza con l’importo dichiarato dal cliente controllato (euro 2,10).
Conseguentemente l’Agenzia delle Entrate notificò all’esercente un atto di contestazione, ex art. 16 del D.Lgs. n. 472/1997, irrogando, peraltro, una sanzione di gran lunga superiore alla misura edittale (che, per effetto del combinato disposto dai commi 3 e 4 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997, era pari a 516 euro): infatti, ritenendo applicabile l’aumento sanzionatorio previsto dall’art. 7, commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 472/1997 (verosimilmente in relazione alla personalità del trasgressore, desunta da precedenti analoghe contestazioni), venne applicato un incremento sanzionatorio del 75%, arrivando all’irrogazione della sanzione complessiva di 903 euro.
Nonostante l’esiguità della somma in gioco, il provvedimento sanzionatorio venne impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, la quale respinse il ricorso dell’esercente.
Potrebbe far sorridere il fatto che una tale vertenza sia affluita nelle aule della Giustizia tributaria; tuttavia, non va dimenticato come una contestazione di tal sorta possa riverberare in maniera negativa sull’esercente, qualora tale violazione potesse essere cumulata con altre tre nell’arco di un quinquennio, ai fini dell’applicazione della misura accessoria, immediatamente esecutiva, della chiusura dell’esercizio, con un evidente impatto pregiudizievole in termini economici (oltre che di immagine, considerato che all’esercizio “chiuso coattivamente” vengono apposti sigilli che riconducono immediatamente all’Organo ispettivo che vi ha proceduto).
In ogni caso, la tesi della Ctp è stata ribaltata in secondo grado; i Giudici dell’appello infatti, con la citata sentenza n. 458/4/16 hanno accolto le motivazioni del ricorrente sulla base dell’assunto che un accertamento fiscale (rectius: un provvedimento sanzionatorio) non può fondarsi su una così esigua discrasia in termini temporali (pochi minuti di differenza tra l’orario del controllo al cliente dichiarato dai verbalizzanti e quello di emissione dello scontrino n. 261) e di importo (5 centesimi di differenza tra l’importo del medesimo scontrino e quello dichiarato dal cliente).
Secondo i Giudici regionali trattasi, in altri termini, di discrasie affatto marginali, inidonee a sostenere ex sè un provvedimento sanzionatorio, in assenza di ulteriori riscontri.

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